Quando gli indiani d’America li videro per la prima volta erano convinti di trovarsi di fronte una creatura sacra, che meritava di essere libera e venerata. Da quell’adorazione nacquero i cavalli selvaggi americani, i mustang. Basta questo per raccontare, in sintesi, l’importanza che ha avuto per lo sviluppo della civiltà umana l’allevamento dei cavalli. A celebrare questo rapporto con “l’altro” grande amico dell’uomo è una mostra del British Museum in programma dal 24 maggio al 30 settembre, in concomitanza con i giochi olimpici di Londra 2012.
«Ci sono probabilmente cavalli da qualche parte in ogni galleria del museo, - dice John Curtis, curatore della mostra - dalle sculture assire a quadri di epoca moderna. I cavalli sono familiari e onnipresenti nella storia umana, ma passano per lo più inosservati. Vogliamo mostrare, con questa mostra, la loro importanza nella storia. Il cavallo era un motore dello sviluppo umano e, fino a una generazione fa, parte dell’esperienza quotidiana anche nel cuore di Londra».
Erano tanti i cavalli nelle strade della capitale inglese, come nelle altre città europee, sfoggiate da grandi borghesi come moderne fuoriserie. E anche supporto a qualsiasi lavoro, come utilitarie e furgoni. Un detto diceva che alla fine del ventesimo secolo la città sarebbe stata sepolta da una marea di letame. «Ora se ne sono andati completamente in una volta sola - commenta l’altro curatore Nigel Tallis - Molti abitanti della città non vedranno mai un cavallo per strada, tranne quelli della polizia».
La mostra mette insieme decine di opere, tra cui un carro d’oro in miniatura trainato da quattro cavalli, realizzato circa 2.500 anni fa, parte del tesoro di Oxus, re della Persia. Molti i reperti Assiri, popolo che deve alla scoperta della ruota e alla successiva invenzione del carro da guerra, il segreto della sua espansione territoriale. E come non ricordare la figura del “cavaliere” nell’immaginario collettivo europeo e particolarmente in quello inglese.
I curatori della mostra, inoltre, vogliono che l’esposizione sia vista anche come un omaggio alla più grande allevatrice di cavalli londinese: la regina Elisabetta II.
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